Natale imperfetto: l'ironia di una copertina Vintage.
Nel feed di uno dei miei social è comparso un post su questa copertina del New Yorker.
Mi ha fatto riflettere, perché c’è qualcosa di irresistibilmente affascinante in questa immagine risalente al lontano 1939.
È una scena apparentemente innocente, ma che, a uno sguardo più attento, nasconde un’ironia pungente e una dose di umorismo quasi imbarazzante. Babbo Natale, che con tutta probabilità è un papà travestito, si sta scambiando un bacio con la madre di famiglia sotto l’occhio vigile (e vagamente scettico) di una bambina. La piccola sembra già aver capito tutto, come a dire: “Sul fatto che tu sia Babbo Natale ho i miei dubbi, ma ora cosa diavolo stai facendo con la mamma?”.
Questa scena è un piccolo capolavoro d’ironia che spezza la seriosità del Natale tradizionale. Non ci sono elfi perfettamente allineati, luci che brillano in modo maniacale o montagne di regali che gridano “consumismo sfrenato”. È un momento di intimità familiare, goffo e autentico, che oggi sembra quasi un atto di ribellione contro l’ossessione contemporanea per l’apparenza.
Nel 1939, il Natale era un po’ più… umano? Non c’era Instagram a dettare le regole su come dovevano essere posizionati gli addobbi, né tutorial su come creare l’albero perfetto in 12 semplici step. Le famiglie si riunivano attorno a un albero decorato con quello che c’era, e Babbo Natale spesso era il papà o lo zio, mal travestito e con una barba di cotone che lasciava più dubbi che certezze.
Questa immagine del New Yorker cattura proprio quella spontaneità. Non c’è nulla di perfetto: Babbo Natale sembra più un intruso che una figura magica, la bambina osserva tutto con un’espressione che oscilla tra lo stupore e il disappunto, e la madre, elegantissima nel suo abito nero, pare completamente ignara del piccolo dramma che si sta svolgendo sotto il vischio.
E forse è proprio questo il punto. Non c’era bisogno di perfezione o di un’immagine studiata nei minimi dettagli. Bastava il calore di una famiglia, qualche regalo e un pizzico di humor.
Fast forward a oggi, e il Natale sembra essere diventato un esercizio di estetica. Ogni cosa deve essere impeccabile: l’albero deve essere a tema, i regali devono essere fotogenici, e persino il panettone deve avere la glassa perfettamente lucida per meritarsi un post sui social.
Nel 2024, Babbo Natale non sarebbe più un papà improvvisato con un costume stropicciato, ma un professionista prenotato su un’app. La madre indosserebbe un maglione coordinato con la bambina (rigorosamente di cachemire) e la piccola avrebbe già preparato una lista di richieste. La foto sarebbe scattata con un ring light e passata attraverso almeno tre filtri prima di essere postata con gli hashtag: #FamilyChristmas, #PerfectMoment e #BabboNataleGoals.
… anche io ho usato hashtag simili!! Perché diciamolo, siamo tutti un po’ vittime del “Natale da copertina”. Quei tag non sono solo parole: sono il nostro modo di dire al mondo che siamo parte di qualcosa, che stiamo vivendo il Natale nel “modo giusto”. Ma cosa significa davvero “modo giusto”?
La verità è che gli hashtag non catturano il caos che c’è dietro la foto: i regali scartati che ingombrano il pavimento, i parenti che litigano o il panettone che nessuno vuole tagliare perché “così è più bello intero”. Quegli hashtag sono solo il filtro che mettiamo sul caos, un tentativo di rendere tutto più ordinato e… condivisibile.
E quel bacio tra mamma e “Babbo Natale”? Impossibile. Sarebbe troppo controverso, rischierebbe di dividere i follower nei commenti. Meglio restare sul sicuro: sorrisi perfetti e auguri standard.
La copertina del New Yorker del 1939 ci ricorda quanto sia bello, e persino liberatorio, un Natale imperfetto. La sua ironia ci invita a guardare il caos e le stranezze delle feste con un sorriso, accettando che non tutto deve essere perfetto per essere speciale.
Forse dovremmo prenderne spunto. Magari quest’anno possiamo permetterci un albero storto, regali incartati in modo approssimativo e un Babbo Natale che somiglia stranamente a papà. E se qualcuno alza un sopracciglio, possiamo sempre rispondere con un sorriso: “È il nostro modo di vivere la magia del Natale. E, onestamente, funziona benissimo”.
Alla fine, il Natale non è una questione di luci perfette o foto da copertina. Il Natale è fatto di risate e di bambine che scrutano gli adulti con un misto di curiosità e dubbio, come se cercassero di decifrare un codice segreto. È in quei piccoli dettagli – le conversazioni sovrapposte, gli abbracci frettolosi, gli oggetti fuori posto – che si nasconde il vero spirito natalizio. Non una perfezione da cartolina, ma un mosaico di frammenti imperfetti che riflettono chi siamo: umani, imprevedibili, eppure incredibilmente connessi.
Un’atmosfera che avrebbe trovato spazio perfino nelle pagine di Dickens, il grande narratore del Natale per eccellenza. Nei suoi racconti, come nel celebre Canto di Natale, il Natale non è mai soltanto un giorno o un’idea, ma un’esperienza fatta di luci e ombre: le tavole imbandite, le voci allegre, ma anche le difficoltà e le tensioni che ogni famiglia si porta dietro. Dickens ci ricorda che il cuore del Natale non sta nell’assenza di difetti, ma nella capacità di scorgere la bellezza proprio dentro quei difetti, di riscaldare l’animo con gesti semplici e autentici. È la stessa magia che trasforma l’aridità di Scrooge in generosità e riconciliazione: una celebrazione dell’umanità in tutte le sue sfumature, proprio come i frammenti imperfetti che oggi continuano a caratterizzare il nostro Natale.
Buon Natale… e che il caos sia con voi!
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