La vita in acido (gastrico)
Questo articolo è il racconto ironico di una realtà quotidiana che, sono sicura, molti conoscono bene. Per fortuna, con un pizzico di leggerezza (e un po' di bicarbonato), si riesce ad andare avanti.
Se lo stomaco è il secondo cervello, allora per qualcuno è un filosofo esistenzialista con tendenze autodistruttive. Sì, perché mentre alcuni vivono vite felici, mangiano sushi e dormono serenamente, altri combattono con dolori, attorcigliamenti e gastriti causate non dal peperoncino, non dal caffè, ma dalla… come dire… infinita capacità di complicarsi l’esistenza.
Un grande classico. Ti svegli, cerchi di affrontare la giornata, ed ecco che arriva la fatidica telefonata di qualcuno che “non vuole disturbare”. C’è chi sente il telefono squillare e si emoziona, chi lo ignora, e poi quelli che si contorcono. Sanno già che, dall’altra parte, gli aspetta un fiume di parole, richieste e problemi che richiedono la loro attenzione immediata. Non importa chi sia. Anche solo lo squillo basta a provocargli quella fitta acida sotto lo sterno. E lo stomaco già urla: “Non rispondere!”
C’è quella categoria di persone che giustifica ogni atto di scarsa logica o rispetto con la frase: “Sto passando un momento difficile”. Bene, chi non ne ha? Però lo stomaco non lo sa, e mentre tu scarichi i tuoi traumi, lui si piega su sé stesso come un origami, aggiungendo quel pizzico di dolore acuto che non guasta mai.
C’è chi, per trovare qualcosa, non guarda davvero. Si gira attorno, osserva i muri come se avesse una vista ai raggi infrarossi e poi sbotta: “Non c’è!” Ora, ditemi, come si può spiegare allo stomaco che quel qualcosa è esattamente lì, sotto i suoi occhi? Non si può! Lui si contrae, la gastrite si amplifica, e si finisce per cercare quel “tesoro” mentre è in atto un’esplosione interna.
Ci sono poi le conversazioni che iniziano con: “Ti devo dire una cosa”. Bene. Peccato che, per arrivare al punto, si passi per l’antica Roma, l’invenzione del telefono e il racconto della zia di un’amica che una volta ha visto un UFO. Nel frattempo, lo stomaco si chiede: “Riuscirà a finire prima che mi venga un’ulcera?” Spoiler: no.
Ma abbiamo chi...poveretto, non lo fa apposta, ma ci mette del suo. Quando parla o fa qualcosa, lo stomaco non si arrabbia, no, si rattrista. Si piega su sé stesso e sussurra: “Va tutto bene…”. Perché a volte, più che il nervosismo, è la malinconia che crea quella bella sensazione di roccia incandescente nello stomaco.
Dopo aver somatizzato rabbia, frustrazione e un pizzico di vergogna altrui, qualcuno arriva a dirti che sei tu il problema. E via di crampi! Ah, il colpo di grazia... Perché non basta il danno emotivo, serve anche quello fisico. Lo stomaco non dimentica, soprattutto dopo una frase così.
Io provo a rilassarmi, a ignorare, persino a respirare profondamente. Ma ogni volta che ci provo, arriva un nuovo episodio, un’altra scena che il mio stomaco non riesce a digerire. La verità è che non si tratta di un problema di alimentazione, ma di “gestione”. Un medico potrebbe dirmi: “Devi rilassarti”. Eh, grazie, dottore. Lei ha mai provato a rilassarsi quando qualcuno ti scrive “posso chiamarti?” senza darti nemmeno il tempo di rispondere? Lo stomaco non si rilassa, si ribella.
Se lo stomaco fosse un tribunale, io sarei sia l’accusato che il giudice. Perché, diciamolo, non è che la gastrite me la procurino solo gli altri. Anche io ci metto del mio: sono ipersensibile, mi agito facilmente, mi incastro nei pensieri come una mosca in un barattolo di miele. Però, anche riconoscendo i miei difetti, ammetto senza vergogna: non ce la faccio più.
Prendiamo il telefono, per esempio. Non è solo il suono a farmi scattare, ma la mia reazione automatica: oddio, cosa sarà successo stavolta? Ho questo talento speciale di immaginare scenari apocalittici prima ancora di rispondere, e non appena apro bocca, il mio stomaco è già in sciopero. Sì, sono io che reagisco così, ma qualcuno vuole spiegarmi perché non si può mai telefonare solo per dire: “Ciao, come stai? Va tutto bene!”
Poi c’è il mio problema con gli oggetti smarriti, o meglio, con chi non li cerca come farei io. Perché io sono di quelle che, quando cerca qualcosa, lo trova. Certo, magari sbuffo, ma alla fine salto fuori con il risultato. Quando invece vedo qualcuno che si gira attorno a caso, puntando gli occhi ovunque tranne che nel punto giusto, mi si attivano i nervi gastrici. E sì, magari dovrei essere più paziente, meno polemica. Lo so. Ma come si fa?
E qui lo ammetto: anche io, a volte, mi perdo nei meandri dei miei racconti. Però c’è un limite. Quando ascolto qualcuno partire da lontano per arrivare al dunque, mi chiedo perché io non riesca mai a bloccare queste epopee verbali. Il mio stomaco si contrae, mentre dentro di me una voce urla: Arriva al punto! Ma non lo dico. Perché? Perché ho paura di sembrare scortese. E così, la gastrite vince ancora.
Poi c’è il mio grande difetto: mi sento responsabile per tutto e per tutti, e questo è un lavoro straordinario che lo stomaco non vuole più fare.
A volte mi sembra di essere in un film drammatico in cui lo stomaco recita il ruolo della vittima sacrificale. Un po’ come in “Il diavolo veste Prada”, dove la povera Andy finisce per somatizzare tutte le pressioni e richieste assurde della sua boss Miranda Priestly. Solo che, nel mio caso, Miranda non è una sola: sono tante piccole Mirande che si aggirano nella mia vita, chiedendo, criticando e dimenticando che io ho, appunto, un limite. Oppure, prendiamo “Inside Out”: mi immagino la mia Rabbia che preme un pulsante gigante nello stomaco ogni volta che qualcuno mi esaspera. Il problema è che le altre emozioni (Tristezza, Gioia, persino Disgusto) sembrano tutte impegnate a fare altro, lasciando lo stomaco da solo a gestire il disastro.
Secondo la psicologia somatica, lo stomaco è uno dei principali organi in cui il nostro corpo trattiene emozioni non elaborate. La rabbia repressa, il senso di colpa, la frustrazione e persino le interazioni sociali quotidiane possono manifestarsi come sintomi fisici. Se poi aggiungiamo il peso della responsabilità collettiva che ci auto-imponiamo (quello che la sociologia chiama carico emotivo delle relazioni) ecco che il mio stomaco diventa il campo di battaglia di dinamiche interpersonali che non riesco a gestire fino in fondo.
Siamo sinceri: io non sono una vittima innocente. Certo, le persone attorno a me sanno come accendere i miei nervi gastrici, ma io ci metto del mio, con la mia incapacità di lasciar correre, il mio voler controllare sempre tutto. Il mio non voler deludere: forse è questo il vero problema. Forse è proprio questo il punto: non voler deludere. Essere sempre lì, pronti a risolvere, ascoltare e persino capire chi non capisce noi. E così, mentre il mio stomaco si contrae, il carico emotivo aumenta e io continuo a credere, ingenuamente, che sia mio dovere tenerlo in equilibrio.
Alla fine, però, lo stomaco è stanco. Va bene riconoscere i propri difetti, ma magari, cari “stimolatori di gastrite”, dateci un taglio anche voi. Perché un conto è ammettere i miei errori, un altro è continuare a sentirmi così.
Quindi, sì, sarò responsabile, ma ora scusatemi: il bicarbonato mi chiama.
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