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L'importanza dei titoli di testa (e di coda); ovvero, perché siete maleducati?

Ci sono cose nella vita che non riesco proprio a capire. Per esempio, perché nei cartoni animati gli animali parlano ma i loro padroni no? Perché le borse da donna sembrano voragini in cui sparisce tutto tranne quello che serve davvero? E soprattutto, perché la gente al cinema ignora i titoli di testa e scappa durante quelli di coda?

Ieri sera, con Alberto, abbiamo deciso di guardare Lego Batman – Il film. Lui, ovviamente, era entusiasta: Lego e supereroi insieme, cosa poteva esserci di meglio? Io, invece, ero preparata mentalmente a un’ora e mezza di mattoncini colorati e battute per bambini. Invece, già dai primi secondi, mi sono ritrovata a ridere da sola.

Non perché fosse successa chissà quale scena comica, ma per la voce narrante che commentava i loghi delle case di produzione con un tono solenne e ironico al tempo stesso. Una scelta geniale. Un modo per dire: “Hey, ogni dettaglio è importante, pure queste scritte all’inizio”.

E così, mi si è accesa una domanda che mi perseguita da anni: ma perché la gente non presta attenzione ai titoli di testa?

Forse sono io il problema, ma ogni volta che vado al cinema mi aspetto un minimo di rispetto per l’esperienza cinematografica. Non pretendo il silenzio religioso di un monastero, ma neanche il caos di un mercato rionale all’ora di punta.

I titoli di testa, per me, sono parte integrante del film. Sono come l’ouverture in un concerto, il sipario che si apre a teatro. Creano l’atmosfera, ti immergono nella storia ancora prima che inizi. Ma per il pubblico medio sono solo un fastidioso intervallo tra la pubblicità dei popcorn e la prima scena d’azione.

E allora ecco la sfilata degli orrori: c’è chi rovista nel sacchetto di popcorn con la dedizione di un archeologo, deciso a trovare l’ultimo residuo di mais incastrato nel fondo, producendo un suono che potrebbe tranquillamente coprire la colonna sonora.

Poi arriva il ritardatario professionista, quello che non si accontenta di essere in ritardo: deve anche rendere la sua entrata il più teatrale possibile. Sfila tra le file buie inciampando sugli spettatori seduti, illumina la sala col cellulare per cercare il posto (magari con la luminosità impostata a "supernova"), si sistema con calma e, giusto per completare il rituale, si dedica a un'attenta applicazione di burrocacao.

E infine, l'immancabile commentatore da grande evento, colui che ritiene impossibile vivere un’esperienza visiva senza condividerne ogni pensiero ad alta voce. Si passa dalle domande esistenziali tipo “Ma questo chi è?”, fino alle profezie da esperto di sceneggiatura: “Secondo me muore subito”.

E questo solo per quanto riguarda l’inizio. Ma il peggio arriva alla fine.

Se i titoli di testa sono ignorati, i titoli di coda vengono trattati come un allarme antincendio. Appena appare la prima scritta bianca su sfondo nero, scatta il panico collettivo:

I primi a scattare in piedi sono quelli seduti al centro della fila, così bloccano la visuale a tutti quelli che magari volevano rimanere. Seguono i corridori olimpionici, che in tre secondi sono già in fondo alla sala, come se rimanere qualche minuto in più potesse provocare danni permanenti. Poi ci sono i disperati della toilette, quelli che evidentemente hanno passato le ultime due ore a bere litri di Coca-Cola e ora rischiano di esplodere.

Eppure, i titoli di coda non sono messi lì per riempire spazio. Ci sono momenti bellissimi nei finali di film. Colonne sonore che meritano di essere ascoltate, scene bonus, ringraziamenti, citazioni nascoste.

La gente ha imparato a restare seduta solo per i film Marvel, perché teme di perdersi la scena post-credit. Ma diciamoci la verità: lo fanno solo per opportunismo, non per rispetto.

Rimanere seduti fino alla fine non è solo un gesto di rispetto per chi ha lavorato al film (e che magari non vedremo mai sullo schermo, ma che senza di loro il film non esisterebbe). È anche un modo per vivere il cinema fino in fondo, senza fretta, senza l’ansia di scappare come se la sala dovesse esplodere da un momento all’altro.

Forse il problema è che la gente vede il film come una storia che inizia e finisce solo nelle scene principali, senza considerare il contesto. Ma sarebbe come aprire un libro saltando la prefazione e chiuderlo prima dell’ultima pagina, ignorando i ringraziamenti o l’epilogo.

E a proposito di libri, avete mai visto la reazione di uno scrittore quando qualcuno dice candidamente: “Io le prefazioni non le leggo mai” o “L’epilogo non mi interessa, tanto la storia è finita”? Il loro sguardo oscilla tra il dispiacere e l’incredulità, perché sanno che proprio lì, in quei dettagli che molti considerano superflui, si nasconde il senso più profondo dell’opera. Lo stesso vale per il cinema: ignorare i titoli di testa e di coda è come perdersi un pezzo della storia, il suo contesto, il lavoro di chi ha reso possibile tutto ciò che hai appena visto. La prefazione di un libro può dare le chiavi di lettura, presentare l'autore o spiegare il senso dell'opera. Allo stesso modo, i titoli di testa di un film costruiscono l’atmosfera, ti preparano al mondo in cui stai per immergerti. Non sono solo nomi, sono già parte del viaggio.

E la conclusione? Nei libri, c’è chi si prende il tempo di leggere le note finali, le dediche, i ringraziamenti. Magari scopre un dettaglio interessante sull'autore, una storia dietro alla storia. Nei film è lo stesso: nei titoli di coda si nascondono piccoli dettagli, dediche personali, perfino scene extra.

Ma la maggior parte delle persone, sia nei libri che al cinema, è troppo impaziente. Vuole arrivare subito al sodo, ignorando tutto il resto.

C’è anche un altro punto: forse solo chi lavora nel mondo del cinema, o in generale nella creatività, sa davvero quanto contino quei nomi, quei titoli, quei dettagli che sembrano superflui.

Uno sceneggiatore, un regista, un montatore, un grafico, perfino un tecnico delle luci, sanno che ogni titolo nei crediti rappresenta il lavoro, il sudore, l’impegno di qualcuno che ha reso possibile il film.

Per chi è “del mestiere”, non guardare i titoli di testa e di coda è come ignorare il lavoro che sta dietro alla magia. Ma per la maggior parte degli spettatori è solo un inutile riempitivo.

Forse è per questo che mi è piaciuta così tanto la voce narrante di Lego Batman: perché mi ha ricordato che anche un dettaglio apparentemente irrilevante può essere importante, se lo si sa guardare nel modo giusto.

I titoli sono come l’educazione, se non li consideri, vuol dire che ti manca qualcosa.

Forse non cambierò il mondo con questa riflessione, e di certo al prossimo film al cinema ci sarà sempre qualcuno che si alza prima del dovuto. Ma una cosa è certa: Lego Batman mi ha ricordato che l’attenzione ai dettagli fa la differenza. E che forse, la prossima volta, riderò da sola al cinema già dai loghi iniziali.

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